Il 27 gennaio del 1945 furono abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, rivelando così l’orrore del genocidio nazista rinchiuso all’interno. Quel luogo diventa un simbolo, e quella data viene celebrata ogni anno nel mondo per non dimenticare la sofferenza, le discriminazioni e le atrocità subite da milioni di persone: la Giornata della Memoria. L’olocausto è stato sicuramente una delle pagine più buie della storia, caratterizzata da abominio, violenza, persecuzione e sterminio. I gerarchi fascisti e nazisti dividevano le persone per ceti sociali, etnie, idee politiche, e si fece strada intolleranza ed odio. Quando la gente smise di reagire e di porsi domande divenne obbediente, insensibile e cieca. Pensando ai giorni nostri, ci viene in mente una frase di Antonio Gramsci: “la storia insegna, ma non ha scolari”. Ecco l’importanza di questa data, ci ricorda anche che non dobbiamo mai accettare e sottovalutare episodi discriminatori e caratterizzati da “odio a prescindere” verso qualsiasi minoranza. Purtroppo quotidianamente assistiamo a questi eventi di fronte ai quali molti, per comodità, opportunismo o disinteresse, si nascondono, con l’unico risultato dell’indifferenza verso chi viene emarginato o “non accettato”. Per evitare che una tragedia come quella dell’olocausto si ripeta, occorre capire e ricordare, e lo strumento più valido è ascoltare la voce, viva, di chi è stato testimone di quegli avvenimenti. Settimia Spizzichino, unica donna tornata da Auschwitz tra i deportati ebrei di Roma, nasce nella capitale, il 15 aprile del 1921, ed il 16 ottobre 1943 venne arrestata e condotta in un campo di concentramento.

Arrivata, dopo un viaggio di sei giorni, al campo di Auschwitz, fu separata dalla madre e dalla sorella maggiore che vennero immediatamente condotte alle camere a gas. Lei e la sorella minore subirono invece il processo di “spersonalizzazione”: tosatura dei capelli, doccia, vestiario, assegnazione del numero. Settimia divenne il 66210. Venne assegnata all’ospedale, o presunto tale, dove venivano condotti sui prigionieri degli esperimenti. Si trovava nel purtroppo famoso “Blocco 10”, dove i reclusi venivano fatti ammalare, poi si provavano sugli stessi dei farmaci. Scabbia, tifo e molte altre malattie…ci rimase per molto tempo. Con l’evacuazione di Auschwitz, dovette affrontare una marcia, detta “della morte”, fino al campo di concentramento di Bergen-Belsen. I soldati sparavano all’impazzata sui prigionieri, e Settimia si nascose in un mucchio di cadaveri per diversi giorni, fino alla liberazione del campo, il 15 aprile 1945, giorno del suo compleanno. Dopo diversi mesi ritornò a casa cercando di non pensare a quello che le era accaduto, cercando di riprendersi la sua esistenza, ma le cose non furono facili. Molti le chiedevano come avesse fatto a salvarsi, unica donna, pensavano si fosse venduta, era nuovamente discriminata ed emarginata…così cominciò a raccontare. Non finì mai di farlo, di testimoniare l’orrore, di tramandare la sua terribile esperienza, raccontò per tutta la vita. Di fronte le telecamere, con un microfono in mano, incontri nelle scuole, nei viaggi ad Auschwitz, collaborò nella scrittura di libri (vi consigliamo la lettura de “Gli anni rubati”), ogni forma di comunicazione è utile e necessaria. Morì a luglio del 2000, e qualche mese prima andò in visita a Gagliole, paesino del maceratese, dove oggi esiste un’associazione culturale che porta il suo nome, proprio in ricordo di quella visita.

Le attività di queste associazioni, o anche solo l’intitolazione di queste a reduci dell’olocausto, svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere vivo l’interesse ed il ricordo. Perché secondo noi, questo è il rischio che si corre, la perdita d’interesse, il credere che siano eventi lontani, tempi distanti da noi, ma è effettivamente così?

Inoltre sentiamo spesso dichiarazioni che tendono a smentire la reale esistenza di quegli accaduti, vediamo foto poco rispettose scattate proprio di fronte a quei cancelli che hanno rinchiuso dolore e morte, vediamo magliette che associano Auschwitz ad un famoso parco divertimenti. La cosa confortante è che si alza un grido di indignazione, ma il problema sussiste finché anche una sola persona al mondo manca di rispetto al passato, alla storia, alla sofferenza e alla morte. Questo rischia di far avanzare ancora di più odio e indifferenza, e non ne abbiamo bisogno. Se ignoriamo la storia siamo senza futuro, oltre che senza passato. Perché non si ripeta più, dobbiamo studiare, ascoltare, capire, rispettare e coltivare il ricordo. Manteniamo viva la memoria.
Foto in evidenza di Jean Carlo Emer
By BARZ