CABERNARDI E PERCOZZONE: UNA STORIA DI ZOLFO, LAVORO E LOTTA

Torniamo, dopo qualche mese, con la nostra rubrica “Itidealia presenta Libri” per parlarvi di un’opera che è frutto di una dettagliata ricerca storica, dove l’autore Stefano Gatti riporta alla luce fatti ingrigiti dal passar del tempo, ma in grado di aprire un dibattito più che mai attuale. “Lo zolfo a Carbernardi e Percozzone – Ottantasette anni di storia economico-aziendale e sociale” rappresenta un volume di cronaca locale che ritrae l’Italia che fu, e che ancora è, sotto l’estetica più distraente dei giorni nostri. Abbiamo posto qualche domanda a Stefano Gatti sperando di appagare in parte la curiosità di voi tutti.

Stefano, potremmo perderci elencando i numerosi studi di cui sei autore o coatuore, ma partiamo da te. Chi è Stefano Gatti?

Stefano Gatti è un 53enne fabrianese, pessimo insegnante di lettere alle superiori che cerca però di realizzare qualcosa di buono a livello di ricerca storica locale. Da una trentina di anni si occupa del movimento operaio fabrianese, dei partiti politici e dei sindacati, dei Socialisti, degli anarchici, dei comunisti e dei repubblicani del nostro entroterra montano. Ha avuto la fortuna di veder pubblicati finora una quindicina di libri, di cui è autore o coautore. La sua passione per la storia locale nasce negli anni dell’università, scrivendo la tesi di laurea sul modello Merloni e su come la Dc dei Merloni riesce a cambiare radicalmente Fabriano, da “città sovversiva” a feudo bianco.

Come nasce l’idea di questo libro?

Nel 1997/1998 vengo contattato dalla Comunità Montana dell’Esino-Frasassi che mi chiede di affiancare come storico locale la prof Monica Giansanti che sta catalogando, guidata dal prof Renato Covino dell’Università di Perugia, tutti i siti d’interesse archeologico industriale dell’entroterra montano, da San Severino Marche a Pergola, da Serra de’ Conti a Fiuminata. Quando scopriamo quello che c’è stato a Cabernardi, Percozzone e Bellisio Solfare e che è ancora visibile e catalogabile, le due Comunità Montane (Esino-Frasassi; Catria e Cesano) ci commissionano un supplemento di indagine ed io inizio a dedicarmi a ricostruire, quasi esclusivamente dai documenti degli archivi, la storia dello zolfo a Cabernardi, Percozzone e Bellisio Solfare. Da quella ricerca nasce il libro che però viene pubblicato tanti anni dopo, nel 2011, e che viene ristampato pochi giorni fa.

24 novembre 1873. Una data importante in cui tutto ha inizio…

Esatto. Quello è il giorno in cui il Regio Prefetto della Provincia di Ancona accorda i primi permessi di ricerca di zolfo agli arceviesi Bruni, Togni, Romei ed Ottaviani. E’ l’inizio di una vicenda sensazionale che cambierà una comunità intera ed anche l’aspetto del suo territorio. Cabernardi è la miniera principale, nel comune di Sassoferrato, ma ad essa collegata (poi le 2 si uniranno con una galleria al 13esimo livello) c’è la miniera di Percozzone, nel comune di Pergola. Lo zolfo estratto viene portato a Bellisio (comune di Pergola) dove ci sono la raffineria e la stazione ferroviaria. I pergolesi, i sassoferratesi ed anche gli arceviesi (Arcevia è molto vicina a Cabernardi) sono i protagonisti di questa vicenda epica. Lo zolfo porta, oltre purtroppo all’inquinamento ambientale, tanta ricchezza al territorio. I minatori e tutti gli altri lavoratori che gravitano attorno alle miniere e alla raffineria sviluppano una forte coscienza operaia e le loro sacrosante lotte conseguono vittorie paragonabili, in termini di diritti acquisti, a quelle raggiunte dai cartari di Fabriano, che – come sapete – rappresentano una delle “aristocrazie operaie” a livello nazionale.

Il pesce grande mangia il pesce piccolo e dopo 44 anni qualcosa cambiò inaspettatamente, giusto?

Avete ragione. Succede che nel 1899 tutte le miniere di zolfo delle Marche e della Romagna passano sotto la proprietà di un’azienda florida, la Società Trezza-Romagna (dal 1904 Trezza Albani-Romagna). Un’azienda che consente di far compiere al territorio il salto di qualità, dal punto di vista economico e sociale. Un’azienda florida che, almeno da ciò che risulta dagli archivi, non avrebbe nessun interesse a vendere, ancora meno a svendere. Invece nel 1917 il colosso Montecatini si trova a possedere la maggioranza delle azioni e diviene quindi proprietario delle miniere della raffineria. Come è stato possibile? Noi storici, in assenza di documentazione, possiamo solo formulare delle ipotesi che il mainstream di oggi definirebbe complottiste (è improbabile che il Governo nazionale non abbia appoggiato la scalata della Montecatini!). Fatto sta che con il solo minerale trovato sui piazzali delle miniere e con il danaro trovato nelle banche e nelle casseforti delle miniere, la Montecatini recupera e supera quanto speso per entrare in possesso dell’intera azienda. Alcuni all’epoca iniziano a parlare di “rapina”…

Facciamo un bel balzo temporale, attraversiamo due guerre e arriviamo agli anni 50. Cos’è la “Lotta dei cento giorni?

La Montecatini è un colosso che ha indubbiamente una marcia diversa rispetto alla Trezza Albani-Romagna e riesce, nel 1938, a far produrre a Cabernardi 67.436 tonnellate di zolfo, a Percozzone 21.165 t. Ancora nel 1947 la Montecatini dà lavoro sul territorio a ben 1.733 operai. Ma la Montecatini adotta una strategia produttiva per divorare rapidamente il giacimento, non dando garanzie per il futuro e non investendo nelle ricerche di nuovi filoni. Probabilmente ha già deciso di chiudere perché lo zolfo italiano non è competitivo sul mercato mondiale rispetto a quello statunitense, che ha costi di estrazione notevolmente inferiori (nelle miniere degli USA è possibile utilizzare il metodo Frasch, a Cabernardi/Percozzone no). Ovviamente i lavoratori ed i sindacati si accorgono di questo disimpegno ed iniziano a lottare, con il sostegno di tutta la comunità, da Arcevia a Pergola passando per Sassoferrato. La lotta dei 100 giorni è del 1951 e consiste in una serie di scioperi a scacchiera. I lavoratori conseguono aumenti salariali e la revisione del sistema dei cottimi e dei turni di lavoro, ma non ottengono garanzie sul futuro delle miniere e sulla ripresa delle ricerche.

I sepolti vivi”: una vittoria che ha il sapore amaro di una sconfitta. Tutto vano?

Poco dopo che la Montecatini esce con l’annuncio bomba degli 860 licenziamenti, il 20 maggio 1952 inizia ad Ancona la vertenza tra il padronato e i rappresentanti sindacali. La Montecatini tiene duro e più di un documento rinvenuto negli archivi dimostra che il Governo nazionale conosce la strategia dell’azienda e non si oppone, anzi… In questo contesto il 28 maggio inizia l’occupazione della miniera di Cabernardi: 214 operai alle ore 22 non smontano dal turno e restano “sepolti vivi” nel 13esimo livello. Non tutta la comunità appoggia l’occupazione: dobbiamo ricordare l’estrema polarizzazione politica di quegli anni (tra il 1950 e il 1953 si sta combattendo la guerra di Corea), tra USA e URSS, tra DC e PCI/PSI. Ovviamente la DC e la CISL sono contro l’occupazione; la CGIL, il PCI e il PSI sono favorevoli. L’amministrazione comunale di Sassoferrato, che è DC, è contraria; le amministrazioni comunali di Pergola e Arcevia (che sono PCI) favorevoli. L’occupazione si conclude alle ore 9:30 del 5 luglio quando gli eroici “sepolti vivi” escono dalla miniera, dopo l’accordo raggiunto sul blocco degli 860 licenziamenti. Ma in realtà non si tratta di una vittoria perché la Montecatini non prende nessun impegno per la continuazione della vicenda dello zolfo a Cabernardi, Percozzone, Bellisio Solfare. I 550 operai sospesi non rientreranno mai al lavoro ed 8 anni dopo, nel 1960 la Montecatini chiuderà definitivamente le due miniere e la raffineria.

Che correlazioni trovi col presente?

Similitudini con il presente e con quello che il nostro territorio sta vivendo dal 2008, tra chiusure di attività industriali e delocalizzazioni, sono evidenti. Come allora anche oggi, gli interessi del grande capitale sono vincenti sugli interessi della comunità, dei lavoratori. Come allora anche oggi, le grandi aziende chiudono, spesso per spostarsi in luoghi del pianeta dove il costo del lavoro è più basso e la conflittualità operaia inconsistente, con il sostanziale benestare del governo nazionale, in nome del mercato. Ma come allora anche oggi è fondamentale che i lavoratori, con il sostegno della comunità, lottino per il diritto ad un lavoro degno per vivere una vita degna. Si tratta, come dicevano i Socialisti di inizio Novecento, di un obiettivo minimo, in tempi difficili, preparando la strada per il “sol dell’avvenire”: il capitalismo non dà la felicità ai più, il Socialismo sì.

Stefano Gatti

Ringraziamo Stefano Gatti per la disponibilità e la collaborazione, ma soprattutto per l’importante lavoro svolto a beneficio della comunità.

By SACANDRO

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