Ormai è noto a tutti (e a chi di dovere lo è da molto tempo), che uno dei principali problemi della sanità italiana è l’enorme carenza di personale. Per avere un quadro chiaro della situazione, prenderemo in considerazione il rapporto numerico tra personale sanitario e popolazione al di sopra dei 75 anni di età, come target maggiormente bisognoso di ricoveri, prestazioni e servizi, ma si consideri che il rapporto tra medici/infermieri e l’intera popolazione è ovviamente molto più basso. Nel 2003 ogni 1000 cittadini sopra i 75 c’erano 42,3 medici e 61 infermieri. Nel 2021 i medici sono scesi a 34,6 e gli infermieri a 52,3, il che vuol dire 54 mila medici e 61 mila infermieri in meno. I dati fanno riferimento al 2021, ma ad oggi la situazione può essere solo peggiorata. Per capire come si sia arrivati a questo, bisogna fare un distinguo tra medici, infermieri e altre figure sanitarie.
MEDICI. L’uscita dei medici dal sistema sanitario si sviluppa attraverso più vie, ma le principali sono il pensionamento e la scelta di andare all’estero. Approfondiremo il tema del pensionamento più tardi, soffermandoci, per ora, sulla “fuga” in altri Paesi. Il salario dei medici in Italia è inferiore a quello dei medici in altri Stati occidentali, tuttavia è quasi 3 volte superiore allo stipendio medio nazionale, e anche se i professionisti nostrani ben gradirebbero un aumento del 20-40 per cento, non sembra essere questo il motivo dei malumori più forti. Le condizioni di lavoro sono la ferita più grande inferta al cuore della categoria. Burocrazia asfissiante e mancate tutele, ma in primis orari e turni stressanti, difficoltà nell’organizzazione delle attività e dislocazione su più presidi. Il tutto dovuto alla carenza di personale! Un cane che si morde la coda fino a stordirsi e cadere esanime. L’organico ridotto crea l’enorme malcontento che spinge i professionisti ad andarsene, e la mancanza di ricambio genera a sua volta un’ulteriore riduzione dell’organico. Volete sapere perché non c’è ricambio? Abbiate la pazienza di seguirci fino alla fine e avrete la tragica risposta.
INFERMIERI. Per gli infermieri, migrazione all’estero e pensionamento permangono come elementi di uscita, ma le motivazioni che producono il problema della carenza di professionisti sono un po’ diverse. La bassa remunerazione in termini economici gioca un ruolo di grande importanza. Lo stipendio è sui valori di quello medio degli italiani, ma l’infermiere ha spesso la percezione di una retribuzione troppo bassa rispetto a responsabilità, mansioni e qualifiche. La figura professionale dell’infermiere, è raramente percepita dalla popolazione come fondamentale per l’erogazione di prestazioni di qualità, il che determina un mancato riconoscimento dell’importanza del suo operato e una conseguente visione de-qualificativa del ruolo. Tutto ciò, rende meno attraente la professione agli occhi dei giovani, tanto che il numero di pretendenti al test di entrata per l’università infermieristica è di poco superiore al numero dei posti in palio.
OPERATORE SOCIO-SANITARIO. Gli operatori socio-sanitari, o in un contesto più ampio i cosiddetti “assistenti alle cure”, svolgono principalmente compiti di assistenza alle persone non autosufficienti su coordinamento degli infermieri. Queste figure possono operare anche in ambito domiciliare oltre che residenziale. Prendendo sempre in considerazione la popolazione sopra i 75 anni, in Italia il numero di operatori è pari alla metà di quello in Francia e circa a un terzo di quello nel Regno Unito. Da noi sopperiscono, in parte, a questa carenza, le moltissime badanti, che vengono pagate dalle famiglie, ma non costituiscono figure professionali.
PENSIONAMENTO. I pensionamenti costituiscono la via d’uscita principale del lavoratore dal sistema sanitario, ma ricordiamo anche che prevedere quanti operatori andranno in pensione di volta in volta è molto facile. Certo, qualche imprevisto può sempre esserci. Ad esempio il pre-pensionamento, il cambio di professione, la morte, oppure qualche intervento del governo come la famigerata “Quota 100”. Una legge che avremmo potuto condividere per alcuni settori produttivi, ma che poteva avere solo un impatto negativo sul comparto sanità, dove non c’era disponibilità di personale in entrata. Per fortuna solo una parte degli aventi diritto ha usufruito di “Quota 100”, nonostante ciò, il “servizio sanitario nazionale” ha perso in anticipo 7225 unità, tra medici, operatori sanitari e amministrativi.
NUOVE/VECCHIE ASSUNZIONI. Gli enti non sono stati solo alle prese con la carenza effettiva di personale, ma anche con il blocco del 2004 alla spesa per il personale sanitario. Misura che prevedeva un tetto alla spesa, fissandola al livello di spesa del 2004 ridotto dell’1,4% (che nessuno è stato in grado di rispettare e che ha limitato fortemente le assunzioni dirette). Per garantire i Livelli Essenziali di Assistenza, gli enti si sono “inventati” un po’ di tutto. Orari aggiuntivi per medici e infermieri già in servizio, anche con dislocazione in altri reparti o servizi o addirittura presidi, con retribuzione molto più alta rispetto a quella normale. Assunzione di medici a gettone che, pur senza specializzazione, attraverso cooperative, coprono turni in reparti e pronto soccorsi. Riassunzioni, con altissimo corrispettivo economico, di medici in pensione (persino ultraottantenni) .
ALTI COSTI E ALTI RISCHI. Semplifichiamo le condizioni descritte sopra facendo degli esempi qualunque. – Il medico, dopo aver svolto il suo normale turno lavorativo, ne svolge un altro, magari di notte, per 10-12 ore al pronto soccorso e a 100 euro l’ora, così si porta a casa sulle 1200 euro in un colpo solo, per poi rientrare a fare il suo normale turno lavorativo nel reparto di appartenenza, dove, permetteteci di dire, non sarà certo un esempio di brillantezza. – Il medico, magari attraverso la cooperativa a cui è iscritto, viene assoldato a gettone a cifre che possono raggiungere, come dichiarato dal presidente dell’Ordine dei medici di Roma, anche le 200/250 euro l’ora. Usare questo tipo di “ingaggio” consente a l’ente di inserire la spesa nel badget per “beni e servizi” anziché in quello per il personale, eludendo la misura del blocco del 2004 sopracitata. Medici spesso neanche specializzati che si ritrovano a coprire ruoli di “medico d’urgenza”. – Il medico in pensione che rientra a lavoro, con stipendio largamente superiore alla pensione stessa e molto più alto anche di quello che percepiva quando era in servizio. Abbiamo visto casi in cui sono stati riassunti medici con più di ottant’anni, sicuramente bravissimi, ma in emergenza, nelle sale operatorie o in luoghi ad alta intensità operativa ci sembra davvero troppo. Per i pensionati “più giovani”, il tutto ci sembra accettabile, tuttavia è leggibile il paradosso: negli anni passati sono stati molti i medici, che raggiunta l’età pensionabile, hanno chiesto di poter rimanere in servizio, ricevendo il diniego dell’ente. Ora c’è chi va in pensione sapendo che rientrerà con stesso ruolo e paga molto più alta.
UNA SITUAZIONE VOLUTA E CERCATA? Ricapitoliamo. Tutti i nostri governi, di ogni sfumatura politica o tecnica, SAPEVANO e SANNO. Sapevano esattamente quanti medici e infermieri avevamo a disposizione. Sapevano con molti anni di anticipo quanti di loro potevano andare in pensione ad ogni anno. Sapevano del blocco del 2004 sulle spese del personale. Sapevano quale impatto potevano avere leggi e opzioni per pensionamenti anticipati sulle uscite di personale. Sapevano del costante aumento di professionisti in fuga all’estero e delle loro motivazioni. Sapevano che i posti messi in palio a “numero chiuso” per le università erano ogni volta insufficienti alla copertura delle uscite. E ci fermiamo qui per non essere noiosi, ma sapevano tutto quello che c’era da sapere. A nostro giudizio, nessun governo degli ultimi vent’anni, al di là degli slogan e dei tagli alla sanità, ha fatto nulla di serio e tangibile per invertire la rotta o quanto meno per frenare questa folle corsa.
TEST DI ACCESSO AI CORSI DI LAUREA. Nonostante la carenza di risorse umane sia ormai diventata da lungo tempo la principale causa dell’inadempienza del sistema sanitario rispetto alle necessità della popolazione, l’accesso alle università continua ad essere regolato dal cosiddetto “numero chiuso”. Riteniamo sia una follia continuare, anno dopo anno, a limitare il numero dei posti messi a bando negli Atenei di Medicina e Infermieristica, sapendo che, in divenire, il numero dei nuovi laureati non riuscirà a coprire le uscite. Quest’anno poi, abbiamo raggiunto l’assurdo. Non ci soffermeremo su quanto siano inappropriate, a nostro giudizio, molte domande dei test, che sembrano più enigmi e giochetti da “settimana enigmistica” anziché quesiti per aspiranti medici, e non parleremo neanche di quanto non siano minimamente considerati l’impegno mostrato e il risultato ottenuto nei 5 anni che hanno portato gli studenti alla maturità. Parleremo del fatto, però, che circa un mese fa il TAR del Lazio ha annullato le prove di accesso all’università di Medicina. Sentenza che è giunta dopo il ricorso di migliaia di candidati sulla regolarità del TOLC (test di accesso). Il TAR ha annullato anche la graduatoria nazionale, ma “per superiori interessi pubblici e di stabilità”, gli studenti che avevano superato la prova, a cui è stato permesso di immatricolarsi pur in attesa della valutazione del ricorso, hanno salva l’iscrizione e potranno continuare regolarmente gli studi, mentre quelli rimasti fuori, che hanno fatto il ricorso… Beh, ormai è andata, sono cose che accadono…in Italia!
Stampa e divulga
Foto in evidenza di Jonathan Borba su Unsplash
Fonte dati: 19° rapporto C.R.E.A. sulla sanità e INPS.
By SACANDRO
