In questi giorni concitati, siamo riusciti a sentire Marta e Matteo, due ragazzi italiani che vivono da alcuni mesi a Malta. Matteo (35 anni), laureato in scienze del turismo, è dirigente vendite e marketing, mentre Marta (29 anni) è dottoranda di ricerca (Phd) in Antropologia Culturale e Sociologica.
Come state? Vi manca l’Italia?
Siamo ormai a Malta da tre mesi o poco più ed è da circa un mese che viviamo un parziale lockdown. Ad essere sinceri, ci sentiamo grati e fortunati per esserci trovati qui durante questa pandemia. Se ci manca l’Italia? Il giusto (amici, famiglia, gli affetti insomma), ma i nostri percorsi non potevano prescindere dal fatto di vivere fuori dal nostro Paese (paese) di origine; un po’ per gli studi (turismo e antropologia), un po’ per le passioni personali, e onestamente, anche per un’intrinseca ricerca di nuovi stimoli che ci accomuna entrambi. Saremmo però ipocriti nel dire che non ci interessa ciò che sta accadendo in Italia, poiché per quanto siamo affascinati dalla diversità sappiamo bene quali sono le nostre radici geografiche e culturali. Ed è lì che va il nostro pensiero, specialmente in questo momento.
Come procede il lockdown?
Fin dall’inizio della pandemia ci siamo subito resi conto della differenza tra la situazione italiana e quella maltese, sia a livello di diffusione del contagio che delle politiche attuate. Qui, fino ad oggi, non è stata mai varata una legge governativa che imponesse alla popolazione di restare forzatamente chiusa in casa. Il primo ufficiale contagio risale al 7 marzo quando una bambina di 12 anni è risultata positiva al covid-19 dopo essere rientrata con la propria famiglia da un soggiorno in Italia. Nei giorni successivi anche altri residenti e stranieri tornati da viaggi in Europa sono risultati positivi. Nonostante non ci fosse ancora una diffusione domestica del virus e il governo non avesse espresso la volontà di barricare le persone in casa (le scuole e l’Università erano ancora aperte), abbiamo subito notato come la popolazione maltese si sia auto-moralizzata, probabilmente avendo constatato e percepito la gravità della situazione italiana/europea (non ci dimentichiamo che Malta è una realtà ultra-cosmopolita). Da quel momento in poi c’è stata una progressiva chiusura dei contatti con l’esterno (navi cargo, aerei, ecc.) e le persone provenienti da realtà non-maltesi venivano sottoposte ad una quarentena coatta con controlli ferrei e multe salate. Al crescere dei contagi, abbiamo notato che alcune attività (es. ristoranti) hanno deciso di chiudere in maniera preventiva, anche se la direttiva è arrivata “dall’alto” soltanto il 18 marzo quando il governo ha imposto la chiusura degli esercizi pubblici con l’eccezione per coloro che avessero adottato la formula “take away” e “delivery”. Tutto il settore alimentare invece è rimasto attivo. C’è da dire che noi abbiamo una percezione parziale della reazione della popolazione maltese, viviamo infatti in una zona molto turistica che sembra non essersi mai veramente fermata. Nonostante molte serrande sono abbassate, c’è sempre stato abbastanza movimento qui, a differenza di quanto abbiamo potuto constatare a Valletta (la città storica a soli circa 3km in linea d’aria da noi) che invece si è trasformata in una città fantasma. Questa atmosfera di relativa normalità che respiriamo nella nostra zona ci ha portato ad avere una concezione più rilassata e meno apprensiva della vita di quella che hanno le persone in Italia. Nel tempo libero andiamo a correre, a fare delle passeggiate, qualche volta andiamo a prendere il sole, facciamo spesa, ecc… Diciamo che conduciamo una vita apparentemente normale, fatta eccezione per le attività di svago (pub, locali, cene fuori) che sono praticamente inesistenti. Un altro problema che dobbiamo fronteggiare è la riduzione drastica dello stipendio che ha inciso nettamente sul nostro stile di vita e aggiungerei anche sull’umore.

Quanti sono i contagi? Si eseguono tamponi/test per controllare il numero di persone infette da Covid-19?
Non avendo la televisione in casa e non avendo avuto il tempo necessario per integrarci in questa realtà sociale, possiamo soltanto basarci sulle informazioni che troviamo nelle testate giornalistiche online locali. MaltaIndipendent per esempio, parla di 110 casi attivi, 351 casi guariti e quattro morti; sul totale di 465 contagiati dal 7 marzo, l’80% sono risultati sintomatici e il 20% asintomatici (aggiornato al 30 aprile). Ci sono stati alcuni casi di contagio anche nel centro rifugiati Hal Far, subito messo in quarantena appena dato l’allarme (una quarantena bizzarra quella dei migranti rinchiusi, senza distanza sociale, nel centro). La situazione ospedaliera, a quanto sappiamo, non è mai stata in uno stato caotico o almeno paragonabile a quello italiano e, sempre secondo i media online, sono stati effettuati numerosi test. Le misure adottate dal governo sono: divieto di assembramenti in pubblico di più di tre persone, distanza sociale (tot numero massimo di persone all’interno dei negozi), misurazione della temperatura e sanificazione delle mani all’entrata di alcuni esercizi pubblici. Possiamo muoverci liberamente e senza autocertificazioni. Anche le mascherine non sono obbligatorie, le indossano soprattutto coloro che lavorano al pubblico. In tutta onestà, in caso di sospetto contagio (“tocchiamo ferro”) non sappiamo bene come dobbiamo muoverci ma in realtà non ci siamo neanche posti il problema, sia perché non abbiamo mai davvero sentito il dramma (al contrario degli italiani) e sia perché siamo due trentenni in salute.
Esiste un contributo pubblico per le partite iva? Esiste un contributo per i disoccupati?
Matteo prende il 60% dello stipendio e lavora da casa da più di un mese. Coloro che hanno perso il lavoro dopo il 9 marzo possono avere degli aiuti statali che arrivano fino a 800 euro, a seconda del caso specifico. In generale ci sembra che gli ammortizzatori sociali italiani siano meglio di quelli maltesi, anche se qui si pagano meno tasse!
Ho letto che il Ministro della Salute e vicepremier Chris Fearne, visto il successo, annunciava “a breve” un cauto e graduale allentamento del lockdown. Cosa sapete a riguardo?
Si respira un certo fermento in strada, come se i proprietari dei locali si stessero preparando per aprire. A breve il governo dovrebbe annunciare la riduzione di alcune restrizioni, pare che, per esempio, si potranno fare assembramenti di 5 persone.
Il settore turistico? Come sta organizzando la “stagione” (spiagge col plexiglass come si ipotizza qui)?
Non si sa ancora quando riapriranno le frontiere, quel che certo è che sarà un’estate diversa. Ci hanno raccontato che Malta durante la stagione estiva diventa un girone infernale sia per il caldo che per la quantità di turisti che invadono l’isola. Probabilmente quest’estate sarà tutta maltese. Per quanto riguarda l’organizzazione delle spiagge nel post-lockdown non cambierà quasi nulla dal momento che possiamo tranquillamente andare al mare anche ora (evitando assembramenti).
Il 12 aprile c’è stata un’altra tragedia di migranti: Sea Watch, naufragio tra Malta e Tripoli. I media locali ne hanno parlato?
La tragedia continua. Ieri il governo maltese ha rifiutato l’approdo di un barcone di più di 60 migranti provenienti dalla Libia. La retorica utilizzata: Malta è troppo piccola e poi c’è il covid-19! I media locali ne parlano e alcune associazioni hanno istituito la campagna #Don’tLetThemDrown per sensibilizzare la popolazione, accusando il governo di agire in segreto e non pronunciarsi pubblicamente sul destino di queste persone bloccate in mare.
Foto in evidenza di Antheah da Pixabay
by GIACK 23