Per la trentanovesima volta, nel corso della sua quasi sessantennale carriera discografica, il menestrello del Minnesota Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan, torna con un nuovo album di inediti dal titolo “Rough And Rowdy Ways” e lo fa per la prima volta da premio Nobel. Il nuovo disco come lascia presagire il titolo, non è un ascolto facile né adatto a qualsiasi ascoltatore; la voce graffiante, le sonorità a tratti acide e dalla durata superiore ai 10 minuti in qualche brano, lo rendono forse un album apprezzabile appieno solo dai fan più irriducibili. Molte le citazioni cinematografiche e letterarie come anche la “comparsata” di qualche personaggio illustre del calibro di Jimmy Reed e JFK, a cui il cantautore dedica il brano più lungo (quasi diciassette minuti) e di chiusura dell’album “Murder Most Foul”, “… a dark day in Dallas, November ‘63” come recita il primo verso del lunghissimo testo che compone la canzone.

Il settantanovenne cantautore americano si lascia andare anche a piccoli sfoghi di rabbia e precisazioni sul suo essere figura iconica di riferimento per molte generazioni: “Io non sono un falso profeta/ so solo quello che so/ io vado dove solo i solitari possono andare” è possibile ascoltare nel brano “False Prophet”. La parte musicale dell’album si divide tra blues elettrici e ballate classiche o eteree suonate in modo magistrale da musicisti di grosso calibro, come quasi sempre siamo stati abituati ad ascoltare nelle band che accompagnano il paroliere americano.

Se si dovesse scegliere un singolo da estrarre da quest’album, sarebbe sicuramente “Key West (Philosopher Pirate)” una lunga e meravigliosa ballata di quasi dieci minuti che tratta il duro, ma necessario bilancio introspettivo, che ognuno di noi si trova presto o tardi ad affrontare nel corso della propria esistenza.
Foto in evidenza di Richard Mcall da Pixabay
A cura di NICO PODUTI
by SACANDRO