“CANCELLAZIONE PROGRAMMATA”: LA DISTRUZIONE DEL PATRIMONIO STORICO IN PALESTINA

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Oggi, sulle prime pagine dei media, si celebra la “pace” – mediata da Trump – come se fosse il coronamento di una missione salvifica. Trump è stato acclamato, ha annunciato la fine della guerra e proclamato l’avvento di un “nuovo Medio Oriente” dopo il rilascio degli ostaggi. Ma di quale pace si sta parlando, quando alle spalle di questa pantomima si accampano migliaia di corpi, città ridotte in macerie, musei e archivi cancellati, intere comunità distrutte?

Chi chiama “accordo” o “cessate il fuoco” quello che arriva dopo uno sterminio condotto su un popolo civile? È facile brindare alla pace quando si è armati fino ai denti e quando si può dettare i termini al vincitore. Nel bel mezzo della celebrazione, è necessario denunciare: questa pace “a comando” rischia di essere la sublimazione del vincitore, non il vero ritorno di giustizia per chi sopravvive tra le rovine. Mentre il piombo cadeva ogni giorno, una parte della distruzione meno visibile, ma non meno grave, si consumava: quella della memoria. Musei, archivi, siti archeologici e monumenti storici in Palestina, soprattutto nella Striscia di Gaza, sono stati danneggiati, distrutti, lasciati in rovina. Dietro molti di questi attacchi c’è non solo la logica della guerra militare, ma una violenza culturale con conseguenze profonde e durature.

Che cosa è successo finora

Alcuni dei casi documentati:

Dati quantitativi e impatti

Perché è grave

1. Distruggere l’identità

Questi luoghi non sono semplicemente “mura vecchie” o “oggetti antichi”: sono parte integrante della memoria collettiva palestinese. Distruggere musei, necropoli, archivi storici vuol dire indebolire il legame con il passato, rendere più facile rimuovere dalla narrazione storica le radici di un popolo.

2. Violazione del diritto internazionale

La Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato sancisce che i beni culturali devono essere protetti da attacchi militari, salvo che non costituiscano un obiettivo militare, e che ogni azione contro tali beni è illegittima se non strettamente necessaria. Molti esperti denunciano che molti di questi danni appaiono “non accidentali”. (https://www.palestine-studies.org/en/node/1655264; https://news.artnet.com/art-world/gaza-cultural-heritage-pen-report-2690843 )

3. Perdita insostituibile

Molti reperti sono unici: manoscritti, mosaici, oggetti artigianali che non possono essere ricreati. Quando un hammam centenario, un palazzo antico, un museo locale con collezioni comunitarie viene ridotto in polvere, la perdita è irreversibile.

4. Impatto sulla memoria futura e sulle generazioni

I giovani, che già vivono in un contesto di enorme sofferenza, rischiano di crescere senza punti di riferimento concreti del loro patrimonio culturale. Questo può indebolire un senso di identità, radicamento e appartenenza. Il patrimonio archeologico palestinese non è poi solo testimonianza delle radici del popolo palestinese, ma costituisce anche un capitolo fondamentale della storia delle civiltà del Vicino Oriente e del Mediterraneo. La perdita di ogni reperto significa l’erosione di un tassello insostituibile della nostra memoria archeologica comune.

Quali sono le ragioni e le accuse più forti

Una pace costruita sulle rovine

Oggi si parla di “pace”, ma la pace non può essere proclamata da chi ha appena raso al suolo città, cancellato musei, bruciato archivi e ridotto alla fame un popolo intero.
Non può esserci pace se prima non c’è verità, riconoscimento e giustizia.

La pace di cui si parla oggi – quella mediata da Trump e salutata come “storica” – somiglia più a una messa in scena che a una reale rinascita. È la pace dei vincitori, quella che arriva dopo lo sterminio, quando non resta più nessuno da zittire. Mentre le telecamere riprendono strette di mano e sorrisi diplomatici, nei villaggi palestinesi si contano ancora i morti, si cercano i dispersi, si raccolgono frammenti di reperti, si tenta di salvare dalla polvere ciò che resta della memoria. E allora chiediamoci: di quale pace si tratta, se non può più esserci voce per raccontare la propria storia?
Che valore ha una tregua, se è fondata sull’oblio, sull’annientamento culturale, sull’indifferenza globale?

Finché i musei resteranno distrutti, le necropoli antiche sepolte dalle bombe e i bambini cresceranno tra le rovine, nessuna pace sarà reale.
Solo quando la memoria tornerà a essere rispettata, protetta e riconosciuta come parte dell’umanità intera, allora, e solo allora, potremo parlare davvero di pace.

Quando la guerra cancella la memoria

La guerra non distrugge solo il corpo: distrugge la memoria, il senso di sé, la capacità di testimoniare che si è stati, che si esiste. Quando un museo brucia, ogni reperto che sparisce è un pezzo della storia che non potrà più essere raccontato. La Palestina non merita solo il diritto alla vita; merita il diritto alla memoria. Noi, come comunità globale, come cittadini, come esseri umani, dobbiamo alzare la voce contro chiunque provi a cancellare non solo persone, ma anche ciò che esse hanno costruito per durare nel tempo.

By FRANCESCA PONTANI, archeologa, esperta comunicazione digitale http://www.francescapontani.it

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