Video verticali & realtà ristretta: come i social stanno cambiando il nostro sguardo sul mondo
Viviamo in un’epoca in cui i social media dettano non solo i tempi della comunicazione, ma anche i formati attraverso cui guardiamo il mondo. Un esempio emblematico? Il video verticale. Da semplice formato alternativo a standard dominante, il vertical video ha trasformato la nostra modalità di fruizione visiva, influenzando – spesso in modo invisibile ma profondo – anche la nostra percezione della realtà e il modo in cui ci relazioniamo agli altri.
IL DOMINIO DEL FORMATO VERTICALE
Nato per rispondere all’uso naturale dello smartphone tenuto in mano, il formato verticale si è affermato prima nelle stories, poi nei reel, nei TikTok e infine in quasi ogni contenuto visivo pensato per il web. Ma questa scelta non è neutra: privilegiare la verticalità significa rinunciare a una visione più ampia dello spazio. Il nostro campo visivo, che per natura è orizzontale, viene compresso, rimpicciolito, centralizzato. In poche parole, la realtà viene ristretta. Un paesaggio non è più una distesa da esplorare con lo sguardo, ma uno sfondo tagliato. Un volto non è più parte di un contesto, ma un primo piano schiacciato entro margini digitali. Tutto diventa più intimo, ma anche più isolato.
UNO SGUARDO SEMPRE PIÙ INDIVIDUALE
Questo restringimento visivo riflette (e rinforza) un cambiamento più ampio nella società digitale: la centralità dell’io, spesso a scapito della collettività. Nei video verticali lo spazio attorno scompare, così come scompare il “noi” nella narrazione dominante dei social: conta il soggetto, la sua espressione, la sua performance. Il formato incornicia e glorifica l’individuo, ma lo fa tagliandolo fuori dal contesto, dalla pluralità, dalla complessità del reale. L’altro diventa spettatore, mai interlocutore. E il dialogo si trasforma in monologo.
LA REALTÀ COME CONTENUTO
Un’altra conseguenza, forse ancora più sottile, è che il mondo – inquadrato solo se “sta bene” dentro un telefono – si piega alle esigenze del contenuto. Non è più la realtà a dettare i tempi dell’esperienza, ma la necessità di catturarla in 15 secondi, nel giusto rapporto d’aspetto, con l’algoritmo in mente. Il video verticale spinge a una costante messa in scena del quotidiano, spesso privata di profondità, perché schiacciata in un formato che vive di immediatezza e brevità. Ma la realtà, per sua natura, è fatta di sfumature, prospettive, spazi vuoti e pieni, silenzi. Il rischio è che ci abituiamo a vivere in verticale anche fuori dallo schermo: con meno sguardo laterale, meno profondità di campo, meno empatia verso ciò che accade fuori dall’inquadratura.
UN IMPATTO SULLE RELAZIONI
Questo cambiamento di percezione visiva si riflette anche nelle nostre relazioni interpersonali. In un mondo in cui tutto deve essere mostrato e visto “da vicino”, spesso a favore di camera, la spontaneità viene sacrificata. Ci relazioniamo sempre più attraverso schermi e formati che ci costringono a stare al centro, a performare, a mostrarci piuttosto che esserci. La relazione diventa consumo: scorriamo le persone come scorriamo i contenuti, perdendo la capacità di restare, di ascoltare, di vedere davvero.

UN MONDO SENZA MARGINI: QUANDO IL VERTICALE RIDISEGNA LA NOSTRA ESISTENZA
Non è solo una questione di estetica o di praticità. Il dominio del formato verticale – imposto dagli algoritmi e dalle dinamiche dei social – sta riscrivendo le regole della nostra esperienza umana. Siamo passati da un’epoca in cui la tecnologia doveva ampliare il nostro sguardo sul mondo, a un tempo in cui è il mondo stesso a doversi piegare dentro una cornice ristretta.
Ogni storia, ogni emozione, ogni paesaggio viene ritagliato, centrato, velocizzato per stare dentro il tempo e lo spazio dello scroll. Ma la vita vera – quella che pulsa, che ha bisogno di tempo per essere compresa e profondità per essere vissuta – non può adattarsi a questo schema.
E così accade qualcosa di più grave: cominciamo a pensare, sentire e relazionarci dentro quella stessa verticalità. Gli altri diventano comparse, lo spazio intorno un rumore di fondo da tagliare via. Ci abituiamo a guardare solo davanti a noi, a non girare più la testa, a non esplorare i margini.
Perdiamo l’orizzonte.
Non solo quello visivo, ma anche quello simbolico, sociale, umano. Ogni individuo diventa una “storia” da guardare per pochi secondi. Ogni relazione un contenuto da condividere. Ogni pensiero una caption. Nel mondo del verticale permanente, la comunità si frammenta, il dialogo si impoverisce, l’empatia si indebolisce. Viviamo una prossimità senza presenza. Una connessione senza contatto.
Byung-Chul Han, filosofo sudcoreano, nel suo saggio La società della trasparenza, osserva:
«Le cose diventano trasparenti quando si liberano da ogni negatività, quando sono spianate e livellate, immesse senza opporre alcuna resistenza nei piatti flussi del capitale, della comunicazione e dell’informazione.»
— Byung-Chul Han, La società della trasparenza
Han critica l’ideologia della trasparenza come forma di controllo e omologazione, dove l’individuo si espone volontariamente, perdendo profondità e autenticità.
UNO SGUARDO PIÙ AMPIO È ANCORA POSSIBILE?
La critica non è al mezzo in sé, ma al modo in cui lasciamo che il mezzo modelli la nostra visione, letterale e simbolica. Tornare a un formato orizzontale – o più in generale, a una visione più ampia della realtà – significa recuperare spazio, contesto, complessità. Significa ricordare che non siamo soli al centro di tutto, ma parte di un sistema più grande, fatto di orizzonti, persone, differenze, dialoghi.
Conclusione
Abbiamo imparato a vivere dentro uno schermo. Ma ci ricordiamo ancora come si guarda fuori?
Ogni giorno, i social ci insegnano a inquadrare il mondo in modo veloce, ristretto, centrato solo su di noi. Ma la realtà è fatta anche di margini sfocati, di ciò che accade fuori campo, di incontri imprevisti.
Riusciamo ancora a coglierli? O ci stiamo abituando a vedere solo ciò che entra nell’inquadratura?
In un tempo in cui i social invadono ogni spazio della vita quotidiana, è fondamentale riscoprire una consapevolezza critica verso i linguaggi che usiamo e consumiamo. Il video verticale, nella sua apparente neutralità tecnica, è in realtà uno specchio del nostro modo di vedere il mondo: sempre più ristretto, accelerato, solipsistico.
Ma il cambiamento è possibile. Basta iniziare a guardare oltre i bordi dello schermo…
di Francesca Pontani, comunicazione digitale autentica per progetti che fioriscono online
