DA ALADINO A MINETTI, IL CALZOLAIO CONTINUA…

Abbiamo deciso di fare un giro alla scoperta di alcuni degli stoici lavoratori che mantengono in vita gli antichi mestieri artigiani. La prima bottega in cui siamo entrati è quella del nostro amico Stefano Minetti. Stefano fa parte dell’Associazione Calzolai Italiani e Calzolai 2.0.

Stefano, perché hai scelto di fare questo mestiere? Innanzitutto vengo da una famiglia di artigiani: mio padre è stato un sarto da uomo per molti anni, prima di trasferire le sue conoscenze nella lavorazione dei tessuti alla lavorazione delle pelli divenendo pellettiere, creando borse, cinture, portafogli, eccetera… Mia zia si diceva fosse la migliore ricamatrice di Matelica e mio zio uno dei migliori fabbri già prima della Prima Guerra mondiale. Io, dopo una breve esperienza come operaio in fabbrica, decisi di dare sfogo alla mia predisposizione artigiana diventando calzolaio. In questo percorso ebbi la fortuna di incontrare un grande maestro calzolaio: Aladino Spitoni di Esanatoglia. Inizialmente Aladino non voleva insegnarmi il mestiere, diceva che sarebbe stato come farmi un dispetto, perché è un mestiere dove avrei guadagnato poco, ma avrei tribolato tanto. Alla fine riuscii a convincerlo facendo appello al suo buon cuore e da lui imparai molto, tuttavia questo è un mestiere, come tutti quelli artigiani, dove non si finisce mai di imparare.

E Aladino aveva torto o ragione? Qui si scoppia tutti in una risata, poi Stefano risponde: in gran parte aveva ragione. Perché uno dei problemi più grandi è che, soprattutto nelle nostre zone montane, il calzolaio è ancora considerato come il ciabattino di 70 anni fa, che lavorava per poco, facendo un mestiere definito “povero”. Questo produce una visione distorta che induce molti a pensare di poter pretendere un complesso utilizzo dell’arte per quattro soldi. Inoltre in tanti pensano che le nuove scarpe moderne non si riparino, cosa non vera, tutto si può riparare.

Il modo per resistere come artigiano, quindi, qual è? Lo studio e l’aggiornamento continuo. Bisogna conoscere bene tutti i nuovi materiali, dalle colle alle componenti strutturali, bisogna conoscere la chimica dei materiali che si vanno a trattare, che sono tanti rispetto ad anni fa in cui si parlava principalmente di cuoio, gomma e pelle. Se non sei aggiornato muori. Altro aspetto importante è la specializzazione, se vuoi sopravvivere devi cercare di specializzarti in qualcosa di specifico, sia anche di nicchia. Io, ad esempio, mi sono specializzato nel cambio fondi delle scarpe da trekking, montagna, motociclismo, motocross e trial. Grazie a questo riesco almeno a pagare le tasse.

La figura del calzolaio come creatore quindi produttore, anziché solo come riparatore, si è persa? Purtroppo il gioco dei costi ha un ruolo fondamentale riguardo a questo. Una scarpa creata dal calzolaio difficilmente ha un prezzo inferiore alle 400 euro, in relazione sia alle ore lavorative, che potrebbero arrivare anche a cinquanta, sia ai materiali, che devono essere nobili, perché quando si produce una scarpa artigianale deve essere perfetta e chi la indossa deve poter dire: “Oh! Questa è la scarpa mia! “.

Anche questo diventa inevitabilmente di nicchia, ormai siamo sopraffatti dall’usa e getta, giusto? Indubbiamente sì è arrivati alla cultura del buttar via quando una cosa si rompe. Noi calzolai siamo una delle poche categorie di “riciclatori”. Si parla tanto di ecologia, cosa c’è di più ecologico che riparare e far rivivere qualcosa senza doverla nuovamente produrre aumentando inquinamento? La grande distribuzione ha preso il sopravvento e le scarpe ad un certo punto devono rompersi, altrimenti non le ricompri, e se ricomprarle costa meno che ripararle il gioco è fatto.

Alla lunga hai speso molto di più, ma sei convinto di aver risparmiato. Si, magari calzi sempre qualcosa di diverso, ma perdi l’amore per ciò che indossi e quando lo butti è come penderne anche i ricordi.

Un’ultima domanda prima di lasciarci: se un giovane entrasse nella tua bottega chiedendoti di insegnargli il mestiere come tu facesti con Aladino, cosa gli risponderesti? Prima di tutto cercherei di capire se in lui c’è la passione, l’amore e la pazienza necessari per poter imparare davvero il mestiere, se così fosse vorrei potergli insegnare quello che so, ma gli direi comunque di no, per il semplice fatto che non me lo posso permettere. Non sono un’industria e le condizioni economiche non mi consentirebbero di poterlo tenere nella mia bottega. Lo Stato dovrebbe trovare formule che permettano all’artigiano di fare scuola a colui che potrebbe essere l’erede della sua arte. Purtroppo ho il fondato timore che questa attività chiuderà quando io la lascerò.

Sperando che così non sarà salutiamo Stefano Minetti ringraziandolo per la sua immensa disponibilità.

Ringraziamo la CNA Macerata e il Presidente Maurizo Tritarelli per la collaborazione.

By SACANDRO

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